Concerto 550 anni fondazione Santuario di Salzana

Segnalazioni e ricerche storiche in Valle Brembana..
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Concerto 550 anni fondazione Santuario di Salzana

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Lunedi' 15 Agosto 2016 - TALEGGIO - Escursioni Taleggio - Alberghi, ristoranti - Valle Taleggio - Orobie

Concerto per 550 anni della fondazione del Santuario di Salzana



Video: https://youtu.be/S2qj6uj1S-U

reportage by Battista Cerea e Gino Galizzi

All’inizio del XIV secolo, al crocevia di mulattiere e sentieri che collegavano Pizzino con Fraggio, e Sottochiesa, ai piedi del monte Ardino (citato da Giuseppe Locatelli in “Cenni ed Osservazzioni sulla vallata di Taleggio” e oggi conosciuto come “Montardì” C. 51, p. 198), in bella posizione soleggiata, sorgeva un’operosa contrada, la più popolosa dell’antica parrocchia di Sant’Ambrogio di Pizzino con la sua rustica chiesetta dedicata a San Gregorio. Una allegra sorgente di acqua cristallina ricca di particolari sali, con proprietà curative (acqua salsa), che sgorgava da un piccolo anfratto nel muretto di un terrazzamento per poi raccogliersi in una vasca di pietra, dava il nome a quel borgo: Salzana (monsignor Bosatra, direttore dell’Archivio Storico della Diocesi di Milano, ci conferma che la sorgente è segnalata in documenti d’archivio). Tutto procedeva nel migliore dei modi possibili per quell’epoca. Gli abitanti conducevano una vita modesta, ma serena, impegnati nelle consuete faccende tipiche di una comunità di bergamini, boscaioli e carbonai. In un punto della mulattiera che saliva al Fraggio vi era una edicola con una statua lignea dipinta, raffigurante la Madonna con in braccio il Bambino. Non aveva (e non ha) grandi qualità artistiche e lineamenti sublimati, ma le sue sembianze di comune popolana, con quell’aria di conoscere le fatiche e i bisogni di quella gente, la facevano sentire come una vera abitante del paese alla quale chi passava da lì, si poteva rivolgere con semplicità, dandole del tu. Le cure che Le erano rivolte, denotavano una spontanea e genuina devozione. In particolare, a Lei si rivolgevano le mamme e le donne che erano in attesa di esserlo, per tutti quei desideri o preoccupazioni che solo una mamma ha per i figli. Le fatiche per tirare avanti la famiglia non mancavano, ma il futuro sembrava alla portata di tutti, almeno fino al 1359. Quello fu un anno terribile per le condizioni metereologiche, l’inverno riversò pesanti nevicate che durarono più giorni, mettendo a dura prova la tenuta dei tetti e la vita di uomini e bestie. Poi piogge copiose e persistenti. La stabilità del terreno, specialmente dei pendii, era compromessa. Si incominciò a udire sinistri rumori sotterranei che non lasciavano tranquilli e il 27 novembre di quell’anno, verso sera, proprio all’ora in cui le famiglie erano radunate in cucina per la frugale cena a base di minestra di verdure e legumi, accompagnata con una fetta di polenta brustolita e forse un pezzo di stracchino, il monte Ardino, che in realtà non era altro che un colle intermedio della dorsale montuosa che a livelli sempre più alti sale fino al Corno del Bruk, ma che presentava un versante molto ripido, proprio sopra l’abitato di Salzana, collassò come un gigantesco dinosauro colpito improvvisamente a morte, franando in un devastante smottamento che in breve travolse e sprofondò l’intera frazione in una voragine (don Valentino Ongaro “Note Storiche su Taleggio e la sua Valle” cita gli storici Padre Calvi e Celestino). http://www.valbrembanaweb.com/valbremba ... index.html
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Una tragedia sconvolgente. In quella notte perirono ben 60 famiglie, senza la possibilità di tentare di mettersi in salvo. 250/300 poveri cristiani in breve tempo hanno trovato la morte. La notizia arrivò rapidamente perché il fragore di quel disastro si sentì un po’ ovunque nella valle. Tutti rimasero come storditi da un simile evento. L’unica cosa da fare, era di andare a vedere se si poteva prestare soccorso ad eventuali sopravvissuti; ma le speranze furono ben presto deluse. L’unico manufatto a salvarsi da quella furia della natura, fu l’edicola con la Madonna (don Valentino in “Note Storiche …”). I soccorritori, constatato che c’era ben poco da fare per quei poveri disgraziati. Pensarono che fosse opportuno mettere al sicuro la statua della Madonna portandola nella chiesa parrocchiale di Pizzino, ma inspiegabilmente il giorno dopo la si trovò ancora tra le rovine di Salzana (il fatto è citato anche da Giuseppe Locatelli in “Cenni ed osservazioni …”). La Madonna voleva restare lì, dove i suoi poveri paesani avevano trovato una morte tanto tragica, voleva continuare ad essere parte di loro, nella gioia e nel dolore. Un fatto simile è avvenuto anche per il dipinto raffigurante la Madonna che ora è la reliquia del santuario della Costa di San Gallo, frazione di San Giovanni Bianco. Dopo alcuni anni dalla tremenda devastazione, quando tutto sembrava stabilizzato, pochi superstiti e altre famiglie, con coraggio e determinazione ricostruirono altre abitazioni in quella località, decisi a far rivivere la contrada, ma proprio all’inizio del 1466, quando il tragico passato sembrava alle spalle e si poteva ricominciare a guardare avanti, un'altra frana distrusse ancora una volta quanto era stato fatto (Flaminio Cornaro, citato da don Valentino).
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A questo punto fu chiaro a tutti che bisognava fare qualcosa di nuovo e di diverso, qualcosa che sottolineasse la partecipazione e la solidarietà di tutte le comunità della valle. Un atto che ricordasse quella contrada e tutte quelle povere famiglie perite e che desse soddisfazione a quella statua di Maria che aveva dimostrato, nonostante tutto, di voler restare in quel luogo a Lei caro, e che lasciasse anche ai posteri una concreta testimonianza di pietà e di fede. Fare quindi in modo che col passare del tempo quel luogo non venisse dimenticato, cancellato per sempre; ma che viceversa venisse per sempre ricordato, che chiunque passando da lì potesse deporre un fiore con mano pietosa e dire un’Ave Maria con cuore aperto. Il 16 marzo del 1466, vennero quindi riuniti sul sagrato della chiesa di Pizzino, della quale era parroco dall’anno prima il prete Antonio Zonca di Caprino, i rappresentanti delle comunità di Peghera, di Sottochiesa, di Olda e naturalmente di Pizzino. A quella data le suddette parrocchie dipendevano ancora dalla chiesa madre di Sant’Ambrogio perché si staccarono da Pizzino tra il 1474 e il 1494, (vedi don Ghilardi “La chiesa Parrocchiale di Pizzino e i suoi Oratori”). A quell’incontro decisero di edificare alla località di Salzana un santuario dedicandolo a Maria Assunta, e seduta stante elessero una commissione composta da tre esponenti di Sottochiesa, uno di Pizzino e uno del Fraggio, con il compito di avviare quanto prima la fabbrica. (Vedeseta fu lasciata fuori solo perché dal 1429 la valle era ormai divisa in due Stati: Milano e Venezia; ma c’è da credere che i buoni cristiani di Vedeseta parteciparono poi privatamente a quanto si decise in quella assemblea). Di comune accordo si stabilì anche che il santuario sarebbe stato amministrato non solo dal parroco di Pizzino, ma a turni di un anno, anche dagli altri parroci di Taleggio. 550 anni fa quindi sorgeva il santuario di Maria Assunta di Salzana con il concorso di tutte le comunità della valle. In origine era ad una sola navata e successivamente ampliato con altre due: a sinistra con l’altare della Madonna del Carmine e a destra con l’altare di Maria Bambina e la sacrestia. Nel corso dei secoli la chiesa è stata arricchita con opere d’arte e pregevoli arredi, molti dei quali, donazioni di benefattori di Taleggio che risiedevano in Roma e che erano associati alla “Confraternita dei Bergamaschi in Roma”, molto attiva e prospera soprattutto nel ‘600 e nel ‘700. Sopra l’altare maggiore, di marmo nero con intarsi ed altre decorazioni, come tutti sappiamo, si può ammirare la rinomata pala raffigurante Maria Assunta, dipinto a olio del 1534 su tavole di legno, opera di due allievi del Lotto: Francesco de Bonetti, chiaramente della Val Brembana, e Lucano da Imola.
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Dal 1652 fino agli anni ’60 il santuario è stato un importante centro di Quaresimali, per i quali nel 1713, l’allora parroco di Peghera, don Giacomo Maria Salvioni istituì un legato perpetuo. Nel 1721 si costituì anche la Confraternita del Carmine e la terza domenica di luglio si celebrava solenne festa portando in processione la statua in legno raffigurante la Madonna del Carmine, vestita con abito di ottima fattura, tutt’ora esposta sull’altare a Lei dedicato (vedi don Nicola Ghilardi, Giuseppe Locatelli, don Valentino Ongaro). Oltre a queste lodevoli istituzioni, è doveroso ricordare, così come la documentazione storia registra, anche situazioni di dispute per le pretese di due parroci di Pizzino di avocare esclusivamente a sé la giurisdizione sul santuario, cosa che invece, come detto sopra, per statuto doveva essere in comunione con i parroci delle quattro parrocchie di Taleggio. Incrociando le date riportate nei documenti d’archivio: 1659 e 1697, con quelle della cronologia dei parroci, si può dedurre che si trattasse di: don Nicola Luca di Scalve e don Pietro Buttoni de Ballavitis di Pizzino, che fatto curioso, nel 1679 si scambiarono le parrocchie. Il primo quella di Pizzino con Olda e viceversa per il secondo (monsignor Bosatra in “Pizzino e la Val Taleggio in alcune fonti d’archivio”, don Ghilardi: “La Chiesa Parrocchiale di Pizzino …).
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Nel 1696 invece, ci fu addirittura un fatto di prepotenza da parte di un frate, certo padre Antonio da Bergamo, che sfiorò il “banditismo”. Tale frate, minore riformato, non invitato, si insediò con prepotenza nel santuario addirittura con scorta armata (monsignor Bosatra, direttore dell’Archivio Storico della Diocesi di Milano,in “Pizzino e la Val Taleggio in alcune fonti d’archivio dei secoli XVII e XVIII”, relazione tenuta il 22 aprile 2004 a Milano, in occasione della conferenza organizzata dall’allora Pro Loco di Pizzino sulla storia religiosa della Valle Taleggio e pubblicata nel 2008 dal Centro Ambrosiano nel quaderno XXVI di “Ricerche Storiche sulla Chiesa Ambrosiana” e allegata anche al libretto “Sancti Ambrosii Taleggii”, che raccoglie le relazioni tenute a Pizzino nel 2010 per le celebrazioni del millenario della chiesa di Sant’Ambrogio, matrice della valle Taleggio). Ricordiamo anche che nel 2004 questo nostro santuario è stato eletto “luogo del cuore” presso il FAI (Fondo Ambiente Italia), risultando 23° tra i primi 50 luoghi segnalati da tutta Italia. Sull’onda di questo risultato, negli anni successivi si è cercato di trovare una strada per ottenere dei fondi per avviare una sua ristrutturazione conservativa; ma senza un preciso progetto della parrocchia non è stato possibile. Quest’anno abbiamo anche aderito, con una campagna di sensibilizzazione per salvare il santuario di Salzana, al progetto promosso dal governo per segnalare i luoghi dell’identità e della bellezza che hanno bisogno di aiuto economico per la loro conservazione (bellezza@governo.it).
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Alla luce di questi straordinari fatti è evidente che dobbiamo essere riconoscenti a tutti coloro che in passato hanno raccolto, scritto e tramandato, nonché riportato alla luce documenti d’archivio che raccontano le vicende storiche che hanno caratterizzato la nostra valle e che restano per noi una testimonianza e in alcuni casi un esempio di vita che ci deve spingere a tenere in grande considerazione e rispetto quanto le generazioni passate hanno fatto con spirito di sacrificio e animo pio. Per questo ritengo importante e doveroso ricordare e festeggiare i 550 anni del santuario di Salzana, di questo centro vitale della tradizione religiosa della Valle Taleggio, riscoprendo l’originaria volontà collaborativa, la testimonianza di pietà cristiana per le povere famiglie che in quella contrada hanno trovato repentina morte e per alimentare la riconoscenza e la devozione nei riguardi dell’antico simulacro di Maria Vergine che dopo aver dimostrato di desiderare che venisse salvaguardata la memoria della sua materna presenza in quella località, ha accettato di essere trasferita nella chiesa parrocchiale di Pizzino e di “restare a disposizione”. Già altre volte si è scritto di questa speciale chiesa sulle pagine del bollettino parrocchiale, e ci sarebbe ancora molto di cui indagare, ma in questa occasione ho ritenuto opportuno di riassumere, senza alcun merito mio, almeno in parte, solo quanto riguardò le ragioni della sua fondazione, senza pretendere di toccare in modo specifico ed totalmente esauriente tutti gli avvenimenti sui quali hanno scritto gli storici e i ricercatori, scusandomi per avere colorito un po’ il racconto con aggiunte di fantasia, ma anche con la speranza di contribuire a dare a tutti i lettori un ulteriore spunto di riflessione sull’importanza di fare comunità e sul valore del passato di questa nostra valle, glorioso o meno che sia.

Battista Cerea
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