Una escursione scientifica in Arera

Le numerose specie di fiori spontanei e le erbe medicinali nelle Alpi Prealpi Orobie e specificatamente in Valle Brembana
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pendughet
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Una escursione scientifica in Arera

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DOTT G.B. TRAVERSO
LIBERO DOCENTE DI BOTANICA NELLA REGIA UNIVERSITA’ DI PADOVA

Una salita botanica al Pizzo Arera ( Bergamo)

Estratto degli Atti dell’Accademia Scientifica Veneto –Trentina - Istriana Vol V 1908



Nella scorsa estate in seguito a gentile invito dell’ottimo amico e collega dott. G:.Rota.-Rossi, il quale si occupa con assidua cura della illustrazione della flora micologica della provincia di Bergamo, fino ad oggi quasi sconosciuta, ebbi occasione di fare una salita al Pizzo Arera. In montagna più che altrove, io credo, il botanico è spinto alla raccolta, sia perché la flora alpina offre pur sempre una attrattiva speciale sentita dai profani del’amabilis scientia, sia perché le piccole dimensioni delle piante che compongono questa flora permettono di rccogliere in una sola escursione buon numero di specie, sufficienti a formarsi un’idea approssimativa della vegetazione della cima esplorata.

Per questa ragione e per il desiderio anche di fare un confronto della florula del Pizzo arera con quella delle vette di Feltre da me visitate qualche anno fa e che si trovano in condizioni analoghe di altitudine e di terreno, in occasione di questa gita raccolsi un discreto manipolo dui piante alpine e non avrei tuttavia reso pubblico se non mi fossi accorto che i botanici i quali si sono occupati della flora bergamasca non ricordano quasi mai il Pizzo Arera e se fra di esse non ve ne fosse qualcuna nuova per la Provincia di Bergamo e qualche altra notevolmente rara e di cui è bene indicare ogni nuova stazione. Non ha altre pretese il modesto lavoro che qui presento.

Il Pizzo Arera trovasi nel gruppo abbastanza ben delimitato delle Prealpi Bergamasche, che rappresentano i contrafforti più meridionali delle Alpi Retiche a sud della Valtellina. Esso sorge precisamente tra la media Val Brembana e la media Val Seriana e raggiunge l’alttezza di 2.512 metri. Dal Pizzo Arera e dai monti pù bassi che lo contornano scendono verso Sud-Ovest la Val Vedra e la val Parina che sboccano nella Val Brembana, verso Sud –Est invece la Val Nossana e la Val del Riso che immettono nella Val Seriana presso Ponte Nossa. Il gruppo dell’Arera fa parte di quella porzione della cosiddetta fascia calcare meridionale delle Alpi che si estende ininterrotta dalle sponde occidentali del lago di Garda a quelle orientali del Lago di Como. Geologicamente appartiene al triassico superiore ed è costituito di dolomia metallifera, ricca di minerali di zinco ( smithsonite, calamina, blenda)che vi mantengono attiva l’industria mineraria. La parte più elevata del monte, della quale intendo unicamente occuparmi, è molto povera di acqua e si presenta quindi, al di sopra della zona boscosa, rivestita di una vegetazione erbacea e superbacea uniforme e punto lussureggiante. Anche le alpi o baite superiori, situate a circa 1.800 metri, non offrono pascoli molto grassi e non hanno contribuito a modificare l’aspetto della flora se non nelle immediate vicinanze dei modesti e poco puliti fabbricati, dove si è sviluppata la solita flora nitrofilo-ruderale, caratterizzata ivi specialmente da Urtica dioica, Rumex alpinus, Aconitum nallus, Senecio cordatusa

Al di sopra di 2000 metri il suolo si più sassoso, per franamento naturale e per i detriti delle miniere sovrastanti , e la vegetazione va diventando sempre più scarsa fino a che si arresta completamente a 2300-2400 metri e anche più in bassonella parti dirupate, cosicché la vetta biancheggia immacolata.

La natura calcarea del terreno si appalesa, oltre che nell’habitus generale della flora, anche e specialmente nei componenti della flora stessa.

Fra le piante raccolte infatti parecchie sono note come calcicole: tali, in grado maggiore o minore sono: Sesleria cerula, Alsine verna, Alsine austriaca, Petrocallis pirenaica, Saxifraga sqrrsa, Anthyllis vulneraria, Rhododendrum hirsutum, Dphne cneorum, Horminum pyrenaicum, Brunella grandiflora, Globularia cordifolia, Asperula cynanchica, Campanula raineri, lentopodium alpinum.

Ed anche parecchie tra le piante indifferenti appartengono a quel gruppo che si può chiamare nelle indifferenti- calcicole in quanto esse mostrano di trovarsi meglio su terreni calcarei, pur non fuggendo da altri. Così ad esempio Juniperus nana, Phleum alpinum, salix reticolata, Salus retusa, Daphne mezereum, Helianthemum alpestre, Heliathemum vulgare, Biscutella levigata, Ranunculus lanuginosus, Saxifraga aizooo, Pirus chamaemespilus, Genziana acaulis, Valium anisophyllum, Phyteuma orbuculare, Adenostylus alpina, Corduus defloratus.

Sotto questo punto di vista la florula del Pizzo Arera offre una grandissima affinità con quella delle vette di feltre, come avevo rilevato sul posto e comepotei meglio confermare collo studio delle piante raccolte. Infatti, tra queste, una ottantina circa, cioè oltre il 65%, figurano tra quelle da me raccolte in detta regione che è pure eminentemente calcarea e geologicamente poco più recente.

Prima di passare ad una breve descrizione della gita e all’elenco delle specie raccolte, debo ricordare come la flora fanerogamica della provincia di Bergamo sia già abbastanza conosciuta. Lasciando da parte il pochi cenni del Maironi da Ponte devolsi specialmente ricordare anzitutto i lavori pubblicati verso la metà del secolo scorso dal Bergamaschi e dal Rota, il quale ultimo compilò anzi il primo prospetto completo della flora bergamasca, nel quale sono descritte alcune specie e dorme nuove, e che è degno di nota anche perché vi è tenuto conto per ogni specie, dei limiti altitudinari e, in quanto possibile delle appetenze chimiche.

In epoca più recente si occuperanno con cura diligente della flora bergamasca i proff. Rodegher e Venanzi i quali pure descrissero alcune forme nuove e pubblicarono un nuovo prospetto completo. Lo stesso prof. Rodegher pubblicò inoltre, proprio in quest’anno, un elenco delle piante montane ed alpine della provincia di Bergamo dal punto di vista del loro valore foraggiero, nel quale sono pure indicati i limiti alititudinari e le appetenze chimiche delle singole specie.

La gita alla quale si riferisce la presente nota ebbe luogo il 9 agosto in compagnia del dott. G. Rota-Rossi , del sig. Cesare Lizioli, botanofilo appassionatissimo, e del Sig. Carlo Terzaroli, albergatore di Parre, che ci fu guida preziosa. Partimmo da Parre superiore ( 650 metri circa) alle 4.30 e, passando da Cossaglio, prendemmo il sentiero che corre sul fianco sinistro della val Nossana, rivestito di un bosco ceduo ad essenze svariate, con una pendenza molto debole fino alla baita Piazza Manzone ( 867 metri) . Proseguendo poi molto più ripido, dopo essersi congiunto con il sentiero e la mulattiera che percorrono il fianco destro, fino al cuscinetto Rinati ( 1.355 metri) alla cui destra s’innalza il M. Gola ( 1981 metri) . qui si arresta la vegetazione arborea con alcuni splendidi esemplari di faggio, probabili residui di un esteso bosco d’alto fusto. Dal Cuscinetto Rinati proseguimmo per una salita abbastanza ripida ( lungo la quale, in una zona sassosa a circa 1.700 metri, riscontrai l’unica stazione della Corydalis lutea) fino alla baita campano ( 1.800 metri circa) e di qui, per una comoda mulattiera quasi piana, alla Baita Zuccone ( 1.814 metri) situata ai piedi del Monte Zuccone che non è se non una propaggine del Monte Arera. Da questo punto ci dirigemmo verso la base del Pizzo percorrendo il ripido fianco meridionale del M. Zuccone, ma poco mancò che dovessimo ritornare sui nostri passi in seguito ad un curioso incidente. Mentre procedevamo tranquillamente , un dietro l’altro, per lo stretto sentiero, alcuni mandriani che stavano sulla cresta del monte, sovrastante di oltre 250 metri, incominciarono ad urlare e a far rotolare grossi masi di roccia che precipitarono con enormi salti lungo il pendio fino al fiume Parina.

Da principio si credette ad uno scherzo – per quanto di cattivo gusto – di ragazzi, ma dovettimo persuaderci del contrario perché la grandinata di massi seguitò per un buon quarto d’ora ad onta delle nostri altisonanti proteste le quali ottenevano l’effetto opposto a cui miravano. Solo quando, stanchi dell’attesa perché il tempo era per noi prezioso, ci mostrammo risoluti a salire fino a loro armati di fucile, che per caso uno di noi aveva seco, solo allora quella buona gente pose fine allo scherzo e così potemmo passare di corsa; fu appunto in questa corsa che potei strappare qualche esemplare di una fra le più interessanti piante raccolte: il Poterium dodecandrum. In tal modo ebbe fine il curioso incidente, del quale potemmo avere spiegazione al nostro ritorno in paese: in qualche baita si era sviluppata l’afta epizootica e quei mandriani ci avevano preso per untori! (n. di R. Vedi nota a piè di pagina)

Proseguendo il nostro viaggio fummo ben presto ai piedi della vetta del Pizzo Arera la quale raggiunge, come ho detto, i 2.512 metri, e che, vista da mezzogiorno, si presenta come una candida massa dolomitica conformata ad anfiteatro irregolare, sul cui lato occidentale si trovano , a circa 2.250 metri, le più elevate miniere ( n. di r. vedi piè di pagina) .

La salita alla cima si fa per la cresta orientale e, benché non presenti difficoltà, richiede un buon paio di ore, specialmente quando si sia fatto tutto il tragitto precedentemente descritto con brevi momenti di riposo. Fino a 2.200-2.300 metri sul versante orientale si ha ancora un po’ di pascolo più o meno roccioso, ma poi anche questo si arresta e non si ha che roccia nuda o quasi.

Siccome il tempo stringeva, io dovetti rinunciare all’ultimo tratto di salita che non presentava interesse botanico, per fermarmi ad erborizzare in questi ultimi pascoli mentre i compagni raggiungevano la vetta donde mi riportarono solo alcuni esemplari di Papaver pyrenaicum, pianta non ancora indicata in questa località.

Raggiunto quindi lo scopo scientifico e turistico che ci eravamo prefissi, prendemmo la via del ritorno scendendo per altra strada, sulla destra del fiume Parina. In poco più di un’ora arrivammo ai forno delle miniere ed alla cosiddetta Casa Civile ( 1.500 metri) dove ritrovammo la vegetazione arborea e che anche qui si iniziava con splendidi esemplari di Faggi e di Abeti e dove trovai l’unica stazione del Malopospermum peloponnesiacum. Di qui scendemmo a fondo della valle (830 metri) ed attraversato il Parina salimmo allo splendido altipiano di Oltre il Colle in frazione San Bartolomeo( metri 1.030), dove arrivammo alle ore 20 e dove ci fermammo a passare le notte.

Il mattino seguente per il passo della Crocetta ( 1.267 metri), Oneta, Gorno, scendemmo in Val Seriana al Ponte del Riso (458 metri) proseguendo per Ponte Nossa e risalendo nuovamente a Parrre.

Così ebbe fine la nostra gita che, per quanto affrettata, ed abbastanza faticosa per la lunghezza del percorso e del notevole dislivello superato, riuscì per noi oltremodo soddisfacente.









Note del sottoscritto:

L'afta epizootica è una malattia infettiva altamente contagiosa dei ruminanti e del suino. Prende il nome dalle lesioni ulcerose che lascia in bocca e nelle estremità distali degli arti degli animali colpiti. Il virus è contenuto nelle secrezioni respiratorie e nel liquido delle vescicole degli animali infetti. L'infezione avviene per via respiratoria od attraverso piccole soluzioni di continuo della cute, mediante il contatto diretto tra animali od il contatto con materiale contaminato (attrezzature, lettiera, mangimi, ecc.). Il virus aftoso può essere anche trasportato a distanza per via aerea o attraverso il commercio di alimenti contaminati: l'esportazione clandestina di prodotti carnei è una delle vie più comuni di introduzione della malattia in territori precedentemente indenni. aree indenni il sospetto di un focolaio di afta comporta l'istituzione di zona di protezione e zona di sorveglianza intorno al focolaio stesso, con divieto di spostare, per qualsiasi motivo, gli animali delle specie sensibili; la vaccinazione impiegata solo in aree in cui le epizoozie di afta sono ancora frequenti

In aree indenni il sospetto di un focolaio di afta comporta l'istituzione di zona di protezione e zona di sorveglianza intorno al focolaio stesso, con divieto di spostare, per qualsiasi motivo, gli animali delle specie sensibili.Nel 1908 si verificarono alcuni episodi di afta nelle nostre valli. Il miglior sistema di profilassi fu quello di trasferire le mandrie in zone isolate ed impervie non appena si ebbe sentore del sorgere di focolai di afta epizootica. afta.

L’uomo stesso è considerato un veicolo di diffusione del morbo.

L’episodio descritto dal botanico prof. G.B. Traverso non è nuovo durante le epidemie di afta.

Dalla cartella Polizia e Ordine Pubblico che ho consultato in Archivio comunale risultano diversi episodi conflittuali di aggressioni non solo verbali. Un pastore che trasferiva il suo gregge su un sentiero vicinale fu fatto segno di minacce seguite da un attacco dei cani aizzati dai mandriani. Fece denuncia di lesioni di morsicature ai polpacci imputabili ai denti dei pastori bergamaschi e di minacce profferite dai contadini.

Questi si difesero affermando che c’era il morbo del bestiame in loco e non volevano nessuno che si aggirasse attorno al loro pascolo. Quindi volutamente avevano aizzati tutti i cani della mandria contro l’intruso. Non è dato sapere come si concluse la vicenda.



Le miniere dell’Arera a quota 2.300.

Sono state effettuate coltivazioni minerarie a così alta quota fino a tutto il 1950 dalla società Sapez. Dopo tale anno si rese necessario un forte investimento in macchinari e in operai. La società decise di chiudere i cantieri e abbassare il livello di coltivazione fino ai 1.600 1.800 metri.

Chi passa dal sentiero Brissoni vede nettamente le imboccature delle miniere.

Alcune di queste sono però state coperte da strati di detriti.

Il materiale veniva poi trasportato alla laveria con teleferiche.

La coltivazione delle miniere di quota 2.300 veniva interrotta alla Madonna del Rosario ( prima domenica di ottobre) e ripresa con san Giorgio, (23 aprile) . Dati di archivio.







FONTI:

Estratto degli Atti dell’Accademia scientifica Veneto-Trentino-.Istriana-Vol V 1908 del Dott. Prof. G.B. TRAVERSO

Libero docente di Botanica nella Regia Università di Padova.

Ripreso nel calendario 2009 de “IL PATRONATO S. VINCENZO PER GIOVANI OPERAI “ fotografie e testi di Giovanni Cavadini.

Bergamo via M. Gavazzeni, 3



Le note a commento sono del sottoscritto



La segnalazione della relazione è stata fatta da un amico di Oltre il Colle che qui ringrazio.
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Re: Una escursione scientifica in Arera.

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Linaria Tonzigii - Linaria bergamasca
Rara specie, esclusiva del territorio bergamasco

Pianta perenne, erbacea, con fusti striscianti e rami ascendenti glabri, glauca; altezza 6÷12 cm. Le foglie sono glauche, lanceolate, carnosette, con nervatura centrale ben evidente, normalmente verticillate a 3, raramente opposte. I fiori formano una spiga breve (2 cm), hanno breve calice tomentoso; la corolla giallo-zolfino e con lungo sperone, è bilabiata, il labbro superiore è verticale e bilobato, quello inferiore è trilobato e smarginato, con un forte rigonfiamento vellutato che quasi chiude la fauce della corolla.

Si trova solo sulle Alpi Orobie: Pizzo Arera, Cima Menna, Monte Pregherolo, Monte Ferrante

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Il Sentiero dei Fiori:
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