moritz63 ha scritto:...Menomale che l'hai salvata tu..!! Anche io cerco di conservare le vecchie cartine IGM, ormai parecchio vissute: adesso ho imparato a portarmi dietro la fotocopia ingrandita della zona che mi interessa, così riesco a leggerla anche senza occhiali, pota comincio ad essere orbo... La leggenda del Monte Fioraro non la conosco...
Questa è ben conservata, in pratica mai usata, solo uno scarabocchio a matita sull'involucro esterno di carta paglia gialla, penso ci sia un archivio della casa editrice Bolis-Bergamo...o altre copie in sedi CAI.
La storia l'ho sentita frequentando la Valtellina negli anni '80, ci andavo da amici in avanscoperta per ampliare le mie gite in montagna d'estate o di scialpinismo d'inverno. Premetto che proviene quasi esclusivamente da una fonte unica, un anziano, anche se poi trovavo conferma in altri vicini seppure in versione più stringate, ma pur sempre con elementi coincidenti: Il S.Marco, il Pastore e le capre, una montagna in zona Fioraro, dell'oro, delle monete...per qualcuno una miniera nascosta ecc...
Chi la raccontava meglio, in modo sequenziale nei suoi "capitoli" che erano come delle cadenze fisse, era il Milo, che tutti chiamavano Miluccio. Un uomo minuto si, ma dal passato robusto, con nove anni di guerra sulle spalle, di cui Albania, Grecia e poi quella del '40-45. Tornato poi, come aveva sognato si sposa, ma subito come necessità impone, se ne va via ancora fuori per mesi lontano da casa, lavora come carpentiere nella costruzione della diga del Lago Cancano, come specialità perforatore ed esperto in dinamite che usa per far brillare la roccia.
La Leggenda:
Iniziava col dire che allora, loro "erano retici" e che i Grigioni confinavano con l'attuale Bergamasca...dal racconto la storia sembrava ambientata in epoca pre-napoleonica. Non ho mai trovato riferimenti scritti quindi prendila cosi come l'ho appresa anch'io, essendo un racconto orale avrà sicuramente dei limiti, ma come ho sempre concluso ripensandoci "in fondo di una leggenda si tratta".
L'Oro del Fioraro
Un facoltoso commerciante di bestiame, coltivava i suoi affari e cresceva la sua numerosa famiglia. Frequentando le fiere, girando molto, un giorno ha necessità di un pastore in quanto pur di non ritornare senza denaro dalla vendita di una vacca accetta lo scambio con un piccolo gregge di capre, gli viene offerto un ragazzo che le condurrà alle sue stalle. Il ragazzo è sveglio, ci sa fare, ha avuto un'infanzia grama perchè orfano, quindi chiede ed ottiene di adottarlo. Passano gli anni ed il ragazzo mantiene il gregge, anzi lo accresce e lo seleziona procurandosi buoni affari. Il Vecchio lo considera come un figlio, tanto che decide di assegnargli un piccolo podere, un prato, la sua stalla con una stanza dove potersi stabilire. La famiglia cioè gli altri figli è si unita ma nel contempo ha ereditato il peggio dal padre ossia l'attaccamento alla roba, tanto che iniziano a rivendicare la separazione dei beni ed a mal sopportare il fratellastro, "un altro" col quale dover dividere in futuro. Ma chi comanda è lui, il vecchio, lascia in eredità il podere al figliastro oltre che come dote l'astuccio di pelle delle sua sua pipa con diversi "ducati" alcuni d'argento ed alcuni più piccoli d'oro, tutto il resto rimarrà ai figli legittimi. Ormai il pastore ha una sua vita, l'inverno lo passa sulle pendici appena sopra il paese, la primavera riprende la strada degli alpeggi vicino al S.Marco. Una cosa non dimentica mai, di portarsi appresso la dote ricevuta dal padre, il sacchetto del tabacco con i denari, non può certo fidarsi dei fratelli lasciandolo a casa. La pastorizia in alpe necessita di spostamenti continui e di bivacchi posticci, quindi decide di nascondere "l'oro" in cima alla montagna più alta della zona, una cuspide che permette di essere controllata da tutti i lati, da est a ovest. La pastorizia è difficile e richiede molti pascoli, quelli a nord, i valtellinesi sono freddi ed hanno il sole al tramonto. Il suo successo, la sua furbizia è che sconfina verso i pascoli bergamaschi, non potrebbe è fuori confine e non è suo ma così facendo ruba l'erba dei pascoli asciutti di primo mattino sui declivi sud-est per tornarsene poi a nord-ovest la sera. Quando si ferma sui crinali, che sia verso il Tartano, sul Lemma od alle Scale D'orta,di tanto in tanto controlla che nessuno sosti a lungo sulla cima del Fioraro. Quella è la sua cima, la sua bussola, ha un valore in più che gli altri non conoscono.
Purtroppo gli anni non son mai tutti uguali, solo lui rimane lo stesso ama il suo lavoro, i suoi animali dal pelo lungo liscio ed ispido, veri selvatici, ma suoi amati compagni. Un settembre, le capre lo svegliano, si agitano e fremono nonostante sia notte, vogliono muoversi. Il suo riparo è coperto di bianco, sta nevicando dal un bel pò, deve abbassarsi di quota subito e non può certo recuperare quello che solo lui sa esser rimasto su sulla cima del Monte. E' distante pascolava sulla cima Lago, si rassegna "vorrà dire che ci penserà il Fioraro" a custodire col suo inverno l'eredità del padre. Non solo l'autunno è stato precoce, ma anche l'inverno è stato abbondante di neve, le cornici bianche del Fioraro si sono innalzate di molto e poi si son ripiegate nel vuoto sotto i colpi delle raffiche di bufera. La primavera invece è calda l'anno successivo, fin troppo calda, mentre risale i declivi con il suo gregge trova germogli ovunque, i cespugli si inverdiscono velocemente e le capre in piedi ne mangiano le cime. Sale e va, ed è curioso, vuol aprire il nascondiglio, ritrovare il sacchetto, "così tanto per tenere in mano" e guardare quei soldi con delle effigi strane, dei visi di santi forse, una croce, una data. Ormai non è che gli servono quei soldi, ha la sue capre e son molto ricercate perchè docili, seguono sempre il padrone al primo richiamo. Purtroppo c'è una sorpresa, la cima è diversa, il disgelo si è portato via una faglia di roccia e con essa è franata una fetta di cresta in verticale, non c'è più il nascondiglio e nemmeno "l'ORO"! Si affaccia a guardare oltre, si è creata una nuova pietraia più in basso, ben visibile e di colore più chiaro. Si dice poi, che in seguito il pastore acquistò il diritto per il pascolo perenne del declivio posto a sud, ormai sapeva che li doveva lavorare per tutte le estati, pascolare e nel contempo ricercare quello che era di più caro... il suo passato.
Miluccio viveva ormai verso gli 85 anni, ma ne dimostrava molti di più, la pelle del viso era a macchie scure come sporche di caliggine. Gli occhi erano piccoli spiritati e di ghiaccio gli brillavano come quelli del ghiro. La sua pelle liscia e morbida nascondeva dei gnocchi di muscoli comandati da tendini a fior di pelle. In casa non poteva stare, "sporcava", sua moglie era affettuosa con lui ma vivevano vite separate come era sempre stato, lei nella casa nuova e lui di giorno nel cortile o nella casa vecchia attigua, quelle di muri a scaglia di colore grigio. In fondo lui era come il terzo figlio, gli altri due erano cresciuti con la madre, avevano studiato al liceo ai tempi del movimento studentesco l'uno e della pantera l'altra. Un autunno andammo a trovarlo ancora, era nella sua stalla con pavimento in ciotoli di fiume davanti al camino. Lo sguardo alla fiamma, si divertiva nel mantenerlo acceso, aggiungendo rametti ma con parsimonia. I nipoti, miei amici lo attizzavano con le domande giuste e lui a comando partiva con le risposte. "
Dai cunta su di quela volta che ti seret indat...". Io di tanto in tanto che non capivo le battute in dialetto e chiedevo "cosa?", così gli altri mi spiegavano. Ma quella storia "dell'oro del pastore sul Fioraro", l'ha sempre raccontata uguale. Quel giorno era d'autunno, c'erano le castagne, lui da giorni le faceva caldarroste, ci diceva "mangia i mundin". Poi si guardava le mani rigirandole sul palmo, dicendo "non le ho mai avute così belle e lisce", ma non era vero! Erano piene di artrite e deformi, tutte le dita giravano all'infuori, le giunzioni erano nodose peggio delle sue
gianète, il bastone dei pastori che lui lavorava con l'opinel.