Con la squadra dimezzata da piccoli infortuni e impegni, arruoliamo Emanuele e partiamo alla volta della Cima Croce sull’Alben. La meta, a differenza dei giri precedenti, non è per nulla sconosciuta all’alpinismo e vanta diverse vie di lunghezza e difficoltà contenuta. Clipper, Hotel California, Tri e Mes, Black Line, Aubea si contendono la parete Nord-Ovest caratterizzata da un calcare compatto e molto lavorato, con balze verticali intervallate da canali erbosi e cenge detritiche. L’arrampicata non è mai troppo continua e acquista fascino d’inverno, dove i tratti erbosi diventano scivoli innevati. Saliamo senza troppe pretese di gloria per vedere se riusciamo a sgusciare una via nuova sul lato destro della parete; più basso e quindi meno ambito. Camminando sul sentiero che porta al passo della Forca, passiamo in rassegna tutti gli attacchi, scoprendo anche la via G.M., ben segnata da una placca importante e da una fila di spit ravvicinati. “Qualcuno fa sul serio!” pensiamo, seguendo con lo sguardo le placchette. Noi invece viaggiamo leggeri e proseguiamo oltre, superando la vicina Clipper e indugiando sotto la fessura di Hotel California. Saliamo ancora un po’. Ho in mente una linea che scorsi qualche settimana prima. Dovrebbe essere facile, forse troppo, forse adatta più ad una salita invernale che alle scarpette che ci penzolano dallo zaino. Arriviamo all’attacco e buttiamo il naso all’insù, disegnando passaggi e soste; contando i tiri e ipotizzando gradi. Qualcuno dice “troppo facile”, ma siamo nuovi a questo gioco e non sappiamo ancora giudicare dal basso. Decidiamo che è la nostra linea e che avremmo provato a proteggere solo con protezioni rapide; una salita “clean”. Abbiamo chiodi e martelli, ma oggi possono restare sull’imbrago, come ancora di salvataggio solo al bisogno.

Lascio a Emanuele l’onore di aprire il primo tiro, io e Alberto seguiremo a forbice. Subito sopra l’attacco incontriamo il primo muro verticale della via. Tre fessure parallele e verticali. Emanuele non scruta neanche quella più a destra, butta un’occhiata sfuggente a quella centrale e poi decide di attaccare quella di sinistra, incitato e consigliato da me e Alberto. D’altronde si sa che dal basso mentre si fa sicura è come la domenica sul divano a guardare la partita; si è sempre più bravi di chi sta in campo. La fessura di sinistra è più rotta, più proteggibile, ma anche più esposta. Dal “divano” io e Alberto non ce ne rendiamo conto, ma Emanuele deve uscire nel vuoto lasciato da una spaccatura, per issarsi in dulfer sulla fessura. Ema supera il passaggio senza lamentarsi troppo ed esce dai metri verticali per cercare una sosta poco sopra e sulla sinistra, al grido di “cerca uno spuntone, che non sei buono di sostare su friends!”.


Alla sosta, un bello spuntone sotto un promettente muro nerastro, ci passiamo le consegne e mi riempio l’imbrago di un arcobaleno di colori. Davanti a me, proprio sopra la sosta, c’è una bella paretina verticale butterata di buone prese. L’arrampicata sembra di soddisfazione, ma non vedo punti facili per proteggere. Più a sinistra invece, la placca è interrotta da una fessura molto rotta, ma con un invito leggermente strapiombante. Decido di portarmi sotto di questa e piazzo un BD3.5 che non mi convince per niente. Lo giro, lo ripiazzo; fa ancora cagare…
La fessura è rottissima, assomiglia da lontano ad uno scoglio lavico lavorato dall’acqua. Mi conforta trovare delle presone per le mani e quindi decido di attaccare alzandomi sopra il grosso friend.
Fatto il primo passo la fessura resta verticale ma più semplice e posso salire oltre, dove il terreno perde pendenza. Da qui potrei continuare sulla destra, su placca appoggiata, ma alla mia sinistra c’è un altro muro verticale troppo bello per ignorarlo. Mi proteggo con uno spuntoncino e poi con un friend medio ed esco dal secondo salto su una bellissima fessura obliqua.
Cerco una sosta e la trovo, proseguendo su terreno facile verso sinistra, al riparo dell’ennesimo salto verticale.

