
Lo Scudo del Venina – Prime Vie “Walk on Venina’s Wild Side” e “Walk on Venina’s Right Side” - 4 Luglio 2020
Lo Scudo del Venina è formato da un filone di GCCS (Gneiss Chiaro del Corno Stella, o gneiss leucocratico) che emerge di traverso in Val Venina, sbarrandone il corso proprio al di sotto della conca glaciale sommitale, quella che ospita la miniera di siderite con il forno fusorio tuttora presente.
Circa 500 milioni di anni fa lo Scudo faceva parte del basamento cristallino delle Orobie formatosi nella orogenesi varisica e metamorfizzato probabilmente da rocce precedenti di tipo granitico-intrusivo. Circa 40 milioni di anni fa la deriva della placca tettonica Africana (o meglio la sua sotto-placca Adria) portò alla collisione in Valtellina (linea insubrica) con la placca Euro-asiatica, e le Orobie si formarono: mentre a Est, nella zona del Coca-Diavolo, per intenderci, lo strato sedimentario del Collio (quella brutta roccia di origine vulcanica che tutti conosciamo), era troppo spesso per essere “perforato” dalla spinta orogenetica che portava all’insù il basamento cristallino, sepolto a 30 chilometri di profondità sotto la crosta terrestre per centinaia di milioni di anni, a Ovest, e per la precisione dalla Val Venina fino alla Val Tartano, il basamento cristallino, spinto dalla collisione e dalla pressione verso l’alto della linea di thrust del Porcile (che parte dalla Forcella Rossa e arriva fino a Sondrio), riuscì a “bucare” il soprastante strato sedimentario (per intenderci il verrucano del Becco-TreSignori, il calcare del Pegherolo-Cavallo, ed il servino che arrampicatoriamente parlando nessuno conosce perché troppo ristretto ai fondo valle) e a formare alcune “perle cristalline” dell’arrampicata orobica: La Lingua del Pioder, il Corno Stella, lo Scudo del Venina. Pareti, placconate, mammelloni granitici (i geologi ci perdonino ma per gli scalatori gneiss o granito sono del tutto equivalenti dal punto di vista arrampicatorio) trascurati dalla generazione ‘900-esca degli alpinisti orobici (tranne alcune rarissime eccezioni come quella del Bruno Grassi-Valerio sulla Nord del Corno Stella, che per primo scalò una delle poche pareti cristalline delle orobie), e ri-scoperti in questa decade grazie agli avanzamenti scientifici nella ricerca geologica sulla origine delle nostre amate Orobie. E… al personale interesse nel coniugare la comprensione di questi processi orogenetici-tettonici con la passione per l’esplorazione delle nostre montagne: tutti penserebbero che le nostre Orobie sono state perlustrate in ogni angolo: niente di più falso. Come diceva Marcel Proust: Il vero viaggio di scoperta non consiste nel cercare nuove terre, ma nell'avere nuovi occhi. Niente di più vero: dopo 50 anni di frequentazione delle Orobie (iniziando da bambino con mio padre) non avrei mai “scoperto” le perle cristalline delle Orobie se non avessi sviluppato nuovi occhi per osservarle dal punto di vista geologico prima che alpinistico!