Il weekend 25-26 giugno doveva essere una gita di due giorni a chiodare in Valcanale, sulla parete dell'anticima della Corna Piana che guarda il rifugio Alpe Corte. Su WhatsApp ci eravamo già scambiati una linea indicativa di salita, ma la verità è che non avevamo ancora toccato con mano la parete. Ci passammo sotto questa primavera, ravanando nella neve durante un altro tentativo morto alle pendici della Corna Piana. Da lontano e all'ombra, la parete sembrava compatta e imponente. Forse 5-6 tiri, forse più.
Risalendo i pascoli sopra l'Alpe Corte insieme ad Emanuele, Fabio e Davide, nutrivo ancora qualche dubbio sulla qualità della roccia. Solitamente preferisco fare un giro a piedi per mettere le mani sulla parete e fare qualche foto, ma non avevo trovato il tempo ed Emanuele non sembrava condividere i miei dubbi. Eppure alla luce del sole mattutino, scopriamo che la parete è molto più lavorata di quanto potessimo immaginare e fatichiamo a vedere le placche compatte che ci avevano intrigato in primavera. A cento metri dall'attacco anche l'infatuazione di Ema inizia a vacillare. Toccata la roccia e alzato lo sguardo al cielo, troviamo una parete di roccia mediocre e piuttosto sbriciolosa, senza feature evidenti che si possano definire diedri e placche, bensì un ammasso informe da navigare come una palude verticale. Una salita d'altri tempi. Un quarto grado da brivido.
Piano B. Non abbiamo appassionati di brividi Orobici nel gruppo, quindi salutiamo la parete sbriciolosa e ci dirigiamo verso un costone più basso. Una parete molto meno dominante, alta 3-4 tiri, ma di roccia molto compatta. Un primo tiro in diedro con uscita aggettante, poi un lungo traverso in diagonale di uno o due tiri e infine un diedro di uscita strapiombante. Da lontano sembra quasi impossibile salire in libera, ma abbiamo due giorni di tempo per prendercela con calma.
Arrivati all'attacco troviamo una roccia meno liscia di quanto sembrasse da lontano, ma comunque compatta e promettente. Vogliamo tutti aprire il diedro del primo tiro, tanto che decidiamo di estrarre a sorte. Vinco io e parte Ema

Dopo un primo tiro facile, attrezziamo una sosta a due fix alla base del diedro. Il trapano fatica a forare, segno di buona qualità della roccia, ma la placca suona vuota soprattutto attorno al fix alto. Appesi alla sosta in quattro, ci guardiamo titubanti e qualcuno inizia a tirarsi su per caricare meno peso. Io poi sono il più fifone di tutti e non ho nessuna intenzione di salire oltre finché non siamo convinti della sosta. Prendo il martello ed inizio a saggiare la roccia attorno al fix più sfigato. Con ogni colpo si crea una nuova frattura e dopo qualche martellata il fix sembra infisso nel guscio di un uovo di gallina.
Non ci pensiamo troppo ed attrezziamo una seconda sosta un metro più a sinistra, dove la roccia sembra avere una qualità diversa. Non necessariamente migliore, ma diversa. Forti della nostra doppia sosta, attacchiamo il diedro, che si rivela da subito molto ingaggioso. Ema rinvia il fix sfigato e si alza sopra la sosta su una placca strapiombante orlata da una fessura. La progressione ormai la conosciamo bene. Si sale qualche metro, si trova un piazzamento per i ganci e si sosta appesi all'imbrago. Si recupera il trapano, si mette un fix, si tolgono i ganci e si riparte in libera. A qualche metro dalla sosta Ema sta attrezzando i ganci. Accorcio la corda; per qualche minuto non si muoverà, quindi posso tenerlo corto. Inoltre, l'episodio con la sosta mi ha lasciato sull'attenti ed ora guardo Ema con quel velo di preoccupazione che si ha in attesa della prima protezione. Ad un tratto sento un urlo e con la coda dell'occhio vedo Ema che si stacca dalla parete. Mi spingo verso la roccia, come si fa quando qualcuno urla "SASSOOOO" e sento Ema che mi passa sopra la testa e poi dietro la schiena. Mi irrigidisco, come negli istanti prima di un tamponamento, quando sai che ormai l'impatto è inevitabile, fisso dritto davanti a me e mi preparo allo schianto. La corda si tende e vengo strappato contro la roccia.
Ema si ferma quattro metri sotto la sosta, sbattendo contro le rocce. Il fix sfigato ha frantumato ulteriormente la roccia al suo intorno, ma non si è mosso. Siamo tutti molto scossi, ma per fortuna Ema si muove e si lamenta. Ha male alla schiena e al tallone. Ha picchiato la testa, ma il casco ha fatto il suo lavoro e l'anguria sembra sana.
La gita si chiude con un anticipo di un giorno e mezzo. Caliamo Emanuele fino all'attacco, ripuliamo al meglio i fix dalla parete e lasciamo questo posto, chiaramente inadatto all'arrampicata. Per fortuna torniamo a casa senza grossi danni, zoppicando fino alla macchina e perdendo qualche ora al pronto soccorso.
Il giorno dopo andremo alla Torre Dimenticata, per fare un po' di riabilitazione su Verrucano!
