di Marco Angeloni. Tratto dai Quaderni Brembani 17 - Centro Storico Culturale Valle Brembana

Nell’antichità l’osteria era il luogo giusto per trovare ristoro e, come suggerisce l’etimologia latina hospite(m), un posto ideale dove alloggiare la notte. Era un edificio dove le persone, del luogo o forestiere, avevano l’opportunità di scambiarsi informazioni e opinioni sui temi più disparati, magari mentre praticavano qualche attività ludica, oppure durante una bevuta in compagnia. Oltre ad essere un luogo di convivialità, l’osteria poteva anche essere il crocevia di una serie di misfatti. Sfogliando le carte del fondo del Tribunale di Bergamo, recentemente riorganizzate e cedute all’Archivio di Stato di Bergamo, si possono scoprire alcuni curiosi procedimenti penali di fine Ottocento che hanno come punto di congiunzione proprio l’osteria. Uno di questi casi riguarda l’indagine per il reato di «spendizione di monete false d’argento in S. Pellegrino» condotta da Attilio Tizzoni e Vincenzo Franchi, carabinieri a piedi dell’Arma reale di Milano stanziati nella caserma di San Giovanni Bianco durante l’estate del 1891. I due ufficiali, durante un controllo del 15 agosto 1889 a San Pellegrino, vennero invitati da Francesco Baroni, fu Domenico, ad entrare nella sua osteria «sotto l’insegna dell’Angelo», affinché esaminassero «un pezzo di lire cinque, volevasi d’argento, di Conio Repubblique Française del millesimo 1848 e «un secondo che pare dello stesso metallo, di Conio del Regno d’Italia del millesimo 1864». I due militari riconobbero subito la falsità delle due monete e le sequestrarono all’oste. Quest’ultimo dichiarò di aver ricevuto la prima da Angelo Scanzi, fu Pellegrino, «oste di S. Pietro d’Orzio», durante un pagamento avvenuto quattro giorni prima; la seconda da Giovanni Ragazzi, di Giuseppe, «ombrellaio di Sovazza [Arona]», che era entrato nell’osteria per «bevere mezzo litro di vino» mentre si trovava a S. Pellegrino per la «stagiona balneare». Di conseguenza i carabinieri ascoltarono le deposizioni dello Scanzi e del Ragazzi. L’oste disse di ricordarsi «d’aver dato al Baroni qualche pezzo d’argento», che però ottenne a sua volta durante la «ricorrenza di festa successa il 5 Agosto» nella «frazione Costa del Comune di S. Gallo, dove festeggiavano la Madonna della Neve». Il Ragazzi testimoniò di aver ottenuto la moneta in cambio della «vendita di un ombrello ad uno sconosciuto in S. Pellegrino». I due ufficiali, oltre a tenere «d’occhio» i tre sospetti, effettuarono attente indagini per smascherare «la fabbricazione e lo spaccio doloso», durante le quali interrogarono molti «altri commercianti e persone di fede», senza però ottenere risultati. La vorticosa vicenda relativa ai due “falsi d’epoca” che interessò la nostra valle si concluse sabato 16 novembre 1889, quando il Giudice Istruttore presso il Tribunale Correzionale di Bergamo, «ritenuto non essersi raccolti sufficienti indizi di reità a carico di qualsiasi determinata persona ed aversi ottime informazioni di detti Baroni, Scanzi e Ragazzi», dichiarò «non farsi luogo a penale procedimento per essere ignoti gli autori ed essersi confiscate le suddette monete».