Due ore dopo usciamo sudati sui pascoli aperti mentre il giorno pian piano si sostituisce alla notte. E’ l’ora più fredda e il vento che scende dalla montagna ci fa rabbrividire. A meno di duecento metri ricompaiono le frontali. Ci stanno aspettando presso un riparo per animali, poco sotto la baita dell’Infanzia. Allungo il passo e li raggiungo. Una stretta di mano prima che l’avventura cominci, una cosa d'altri tempi che mi motiva tantissimo.
Abbiamo risalito insieme in costolone glassato di ghiaccio dal vento, superato il vallone e condiviso la tracciatura ai piedi della parete. Ora le strade si dividono. Marco ed Emanuele si dirigono verso la grande placconata su cui si snoda la loro via Menhir, noi risaliamo il conoide nevoso verso l’attacco della Calegari. Mentre ci prepariamo li vediamo legarsi, sulla piattaforma di una grande masso a sbalzo sulla valle.
Simone ride sempre. Poco prima si lamentava dell'incertezza per lui inedita del ghiaccio e del misto, lui che su roccia mi si mangia vivo. Ma qui stiamo giocando al mio gioco ed è tutta un’altra storia. Una striscia di neve e ghiaccio, a volte sottile poco più di due spanne, a volte interrotta da salti rocciosi, porta alla prima sosta, su masso incastrato. Simone sbuffa, guarda con sospetto un appiglio traballante, molla e riprende le picche, poi arriva in sosta e ovviamente sorride.
Davide è il mio socio da anni. E’ forte e affidabile, meticoloso e tranquillo. Non l’ho mai sentito inanellare una sequenza di improperi e bestemmie come adesso che, alla fine del lungo diedro rosso, sta cercando di sfilarsi un cordino dalle spalle senza successo, mentre è in posizione precaria sulle punte dei ramponi e si tiene alla roccia gelata con una mano nuda. Questo balletto in punta di picche e ramponi ti porta vicino al tuo limite nervoso, ed è anche per questo che mi piace.
Siamo al sole in cima a un piccolo gendarme. A meno di 40 metri dalla cresta. Per l’ultimo tiro abbiamo lasciato la guida della cordata a Simone che, alla prima esperienza su misto, si meritava l’uscita. Ma mentre Davide e io ci saremmo levati di impiccio per la via più facile, Simone mira diretto a una fascia rocciosa compatta proprio sotto la verticale della vetta. Quindi si ferma e allestisce la sosta. E chi si smazzerà l'ultima fatica? L’estetica sorride soddisfatta.. io meno.
Mi sposto di qualche metro verso sinistra, butto l’occhio oltre lo spigolo e mi rilasso. I dieci metri, visti da lì, sono roccia rotta e facile. Non metto più niente e corro verso il sole e, appena in cresta, mi permetto un urlo di felicità.
La lunga parete del Pietra Quadra, la via Calegari passa circa al centro, partendo dal contrafforte più basso e risalendo la parete dove presenta la maggiore continuità.

Risalendo il costolone, Marco Serafini attraversa con circospezione la crosta ghiacciata
