Il 30 settembre 1575 la Chiesa di San Giovanni Bianco riceve la Visita Apostolica di San Carlo Borromeo. In realtà il santo non mise mai piede nella nostra parrocchia, limitandosi a coordinare l’opera dei suoi collaboratori che eseguivano, con solerzia e diligenza le disposizioni impartite. Due sono i fatti rilevanti che emergono dagli atti della visita. Il primo riguarda indirettamente il rettore della nostra parrocchia, “ripreso” per non aver censurato il comportamento del prete Pietro Grataroli che, titolare della cappellania del san Gottardo, con l’obbligo di celebrare settimanalmente cinque messe a quell’altare e due nella chiesa di Oneta, non ottemperava, diremmo oggi, agli obblighi derivanti dal suo titolo, celebrandone al massimo duo o tre la settimana e …celebrando, invece, presso la cura di San Gallo che in quel momento era vacante. Il che gli consentiva di racimolare qualche lira in più. Pietro Grataroli cercò di giustificarsi sostenendo che le magre entrate della cappellania di S. Gottando non gli consentivano di vivere, ma il Borromeno non intese ragioni ed agì con severità. Gli ordinò di restituite entro il termine di quindici giorni il corrispondente delle messe non celebrate nella nostra chiesa e in quella di Oneta, consegnandolo nelle mani nelle mani del tesoriere della “Scola” del SS. Sacramento perché fosse poi devoluto nella celebrazione di altrettante messe.
Il secondo fatto riguarda la presenza della Sacra Spina tra le reliquie in dotazione della chiesa di San Giovanni Bianco, della quale non vi è traccia negli atti delle Visite Pastorali precedenti, successive alla visita del 1536. Si legge, infatti, negli Atti della Visita Apostolica: “Tra le altre (reliquie) si afferma la presenza di una Spina della Corona di N. Signore, che è custodita in un reliquiario di argento dorato con un cilindro di cristallo e non si può aprire.”
Passano appena quattro anni e il 4 agosto 1579, (il 4 luglio secondo il Sac. Goffredo Zanchi)(***) il rettore riceve la quinta Visita Pastorale, eseguita dal Vescovo di Bergamo Gerolamo Regazzoni. Gli atti della visita comprendono quattro fogli manoscritti, dai quali si rileva, sostanzialmente, la buona reputazione di cui godeva, presso i propri parrocchiani, Bernardino Boselli. Interrogato dal Vescovo, Prospero Zignoni, risponde, infatti, che egli e di buona vita e di buoni costumi, ne manca di cosa alcuna nell’amministrare i sacramenti, ma: “Quello che di lui si dice che noi possiamo dolersi di lui e che talvolta manca di celebrar messa il lunedì et venerdì, sicome è obligato a fare per l’acordio (che) ha con la nostra Comunità et manca così quando li vien occasione di andar a qualche offitio”.(**) Il rettore, infatti, celebrava sovente la messa nella chiesa della Pianca, in qualità di supplente, essendo la stessa, priva del titolare, da circa dieci anni. Era un modo, tutto sommato lecito, per racimolare qualche lira in più, per impinguare le sue magre entrate e non privare i fedeli della Pianca dei conforti religiosi. Dopo il rilevo riferito al vescovo da Prospero Boselli, ritenne opportuno abbandonare completamente la cura dei fedeli della Pianca. La sesta Visita Pastorale, è effettuata il 22 settembre 1585 dal Vicario Generale della Diocesi di Bergamo, Salomone. Il Vescovo titolare della Diocesi di Bergamo, Mons. Gerolamo Regazzoni dal 19 luglio 1577 alla data della sua morte, avvenuta il 17 marzo 1592, dal 1583 al 1586 ebbe l’incarico di nunzio apostolico in Francia, per cui la Curia di Bergamo fu affidata al Vicario Salomone che, come abbiamo accennato il 22 settembre 1585 era a San Giovanni Bianco per la Visita Pastorale.
Non vi sono rilievi a carico del rettore della nostra parrocchia, ma alla visita è legata una vicenda rilevante per le comunità della parte bassa della Chiesa di San Gallo, poste sulla sponda sinistra del fiume Brembo. I fedeli di Callagagno, Chiosso, Molini, Piazzo, Briolo e Schiava, da qualche tempo, in considerazione della lunga strada che dovevano percorrere per raggiungere San Gallo, trovavano più comodo ricevere i Sacramenti e seppellire i morti, nella chiesa di San Giovanni Bianco. Il Vescovo di Bergamo, con decreto in data 11 febbraio 1583, autorizzò la deroga richiesta, dai fedeli, a condizione che in occasione della santa Pasqua si confessassero e si comunicassero a San Gallo, in modo che mantenessero il legame con il loro “curato” e quest’ultimo avesse la possibilità di conoscerli. Inoltre, per ogni cadavere inumato nel cimitero di San Giovanni Bianco, essi avrebbero dovuto corrispondere al rettore di San Gallo, una certa quota, “pro sua contingenti rata et portione”. La soluzione non era, probabilmente, soddisfacente per i fedeli che, si può ipotizzare mirassero alla loro unione alla Chiesa di San Giovanni Bianco, per cui continuarono a comportarsi come prima. Il Vicario Generale Salomone, subito dopo la Visita Pastorale, che aveva probabilmente anche lo scopo di redimere la vertenza, ricorse a provvedimenti drastici, scomunicando i fedeli delle comunità ribelli. Contro la scomunica, i fedeli si rivolsero direttamente alla Sede Apostolica che, con nota in data 4 marzo 1587, invitò il Vescovo di Bergamo a dare spiegazioni ed a sospendere la scomunica “in sino all’ottava di Pasqua acciò in questo santo tempo non restino privi di cibo spirituale”. Il 5 luglio del 1588 un’altra lettera da Roma, raccomanda che “si decida la differentia tra di loro, senza pregiudizio però delli emolumenti che sono obbligati pagare”. La scomunica fu tolta, ma i contrasti non si placarono ancora per molti anni.
La settima Visita Pastorale, il rettore della Chiesa sangiovannese, la riceve il 20 settembre 1587, ancora da Mons. Gerolamo Regazzoni. Gli atti della visita sono solo tre fogli manoscritti e non contengono rilievi per Bernardino Boselli. Sono importanti, invece, perché é menzionata per la terza volta, la reliquia della Sacra Spina: ” (Il Vescovo) vide e visitò alcune reliquie di Santi e una Spina della corona di Gesù Cristo”. L’Ottava e ultima Visita Pastorale, per rettore della nostra Chiesa, è eseguita da Mons. Giambattista Milani il 9. ottobre 1594. Gli atti della visita si compongono di circa quattro fogli manoscritti. Il Vescovo chiede notizie del rettore al Console del Comune, Petrus q. Antonij di Benintendis il quale riferisce: “Il nostro curato è religioso di buona vita et si diporta molto bene et esercita la cura con diligenza et celebra ogni festa i divini officij alla debita hora, non da scandalo ad alcuno ne da occasione da mormorare”. Da parte sua il rettore, pone l’accento ancora una volta sull’esiguità del beneficio, insufficiente per le sue necessità più elementari: “… (il beneficio) non è in sufficentia di sostenermi. Il Comune si obbliga di darmi soldi ventisei per ogni foco et sono 140 foghi, ma stantano a pagarmi et sono creditore (di) circa 20 lire…”.(**) Due anni dopo, nel 1596, rinunciò all’incarico a favore del nipote Bartolomeo Boselli. Il 27 aprile 1597 la Curia di Bergamo, temendo che il rettore non avesse di che vivere, pensò bene di assumere le informazioni necessarie, in modo da poter predisporre i necessari provvedimenti a suo favore. Risultò che, anche se ancora indiviso, il patrimonio lasciando dal padre era veramente notevole, comprendendo: 30 pertiche di terreno che rendevano 15 scudi l’anno; un “Offitio di correria” che fruttava 160 scudi e una bella casa ben fornita di mobili. “Il che vuol dire” come rileva il Prof. Salvetti, “che egli poteva ricavare annualmente dai suoi beni circa 600 lire, alle quali andavano ad aggiungersi altre 300 che Pompeo Zignoni si era impegnato a corrispondergli ogni anno, vita natural durante, per rendergli più sereno l’avvenire”.(*)
L’anno dopo morì, lasciando agli eredi un patrimonio cospicuo. Dispose un legato di 6 lire a favore della “Scola” dei Disciplini e un altro dello stesso importo a quella della Beata Vergine Maria e impartì disposizioni per la celebrazione degli anniversari della sua morte, come risulta dal testamento dettato al notaio Prospero Zignoni il 7 febbraio 1568 e conservato all’Archivio di Stato di Bergamo, nel faldone n. 3941. Un’ultima annotazione riguardante il periodo, sono i da dati contenuti nella relazione del capitano Giovanni Da Lezze, redatta nel 1596, con un’approfondita descrizione della Comunità sangiovannese. Dalla stessa si rileva: “In questo comun, et contrade vi sono n. 145 fuoghi anime 522 utili n. 91 il resto vecchi donni et putti”. Apprendiamo, inoltre, che vi sono due fucine per la lavorazione del ferro, n. 15 “molini da grani” e n. 1 “follo da panni”, ma la coltivazione della terra dava grani per quattro mesi all’anno, senza vino e poche castagne. Per questo molti erano costretti a vivere “fori facendo arte et esercitandosi in negotij”.
(*)Salvetti Prof. Tarcisio: ”San Giovanni Bianco e le sue contrade” Ferrari Edizioni, anno 1994.
(**)Archivio Parrocchia di San Giovanni Bianco:atti visite pastorali.
(***)Sac. Goffredo Zanchi: “LA SACRA SPINA di San Giovanni Bianco “ Edizioni Quadrifoglio s.r.l. di Torre Boldone, anno 1987.
Stemma del Rettore Bernardino Boselli
(Continua)
Enzo Rombolà