Sanburtolamé di Taleggio, la festa di Pasquetta
Il giorno di Sanburtolamé, una festa religiosa – con Messa, processione e saluto ai morcc, i morti sepolti a San Bartolomeo – e anche una festa civile. Le note della banda e il pranzo consumato quel giorno dalle famiglie in attesa della processione, la disputa con la pichèta delle uova sode colorate, danno l’idea del clima di grande festa. La presenza di una chiesa-oratorio dedicata all’apostolo Bartolomeo è attestata già a fine del 1200, ma la sua origine potrebbe essere assai più remota. A lungo essa si è disputata il primato di chiesa più antica della Valle con Sant’Ambrogio di Pizzino. Tra 1400 e 1500 è stata chiesa parrocchiale di Vedeseta, prima del trasferimento del titolo a Sant’Antonio abate. E nel 1500 San Bartolomeo si è trovata sempre più al centro delle contese tra i «milanesi» vedesetesi e i «veneziani» taleggini. Nella spartizione definitiva della Valle fra Milano e Venezia, San Bartolomeo finì alla Serenissima, pur restando proprietà della parrocchia di Vedeseta, rimasta, nel civile, dominio milanese fino a Napoleone, e, nel religioso, ambrosiana fino al 1995: il cippo confinario in sasso, o «termenù» – uno dei tanti superstiti – con scolpite sui due fronti le sigle di Milano e di Venezia, inserito nella cinta muraria del suo sagrato nel 1583 e rinnovato nel 1760 è ancora lì a ricordare la lunga linea divisoria e lo strano destino. Ma anche nei 1600 e 1700 la chiesa è rimasta attiva ed è stata arricchita. Soprattutto non è venuta meno la grande devozione nei confronti dei morti lì sepolti. Portati, addirittura, a seppellire in quella terra «speciale», almeno stando la tradizione, dai paesi dell’alta Valle Brembana, lungo sentieri impervi e transitando dal passo di Baciamorti, luogo dell’ultimo bacio dei parenti prima della consegna ai portantini valtaleggini. Per onorare meglio i morti, proprio nel Settecento viene sistemata l’area cimiteriale attorno alla chiesa e molte ossa trovano posto nell’ossario eretto a nord-est della chiesa.
Nel 1925 arriva la decisione di intervenire per porre rimedio alle crepe e ai muri strapiombanti di ben 80 centimetri. Accantonata l’idea di un intervento parziale, si scelse la demolizione dell’antica chiesa e il rifacimento totale. Ma la convinzione di aver dato vita a un’opera solidissima, grazie all’impiego di tutti gli accorgimenti tecnici moderni, si rivelò ben presto infondata. Tanto da mettere oggi nella pressante necessità di un nuovo intervento, per far fronte al quale è sorta recentemente anche un’associazione volontaria impegnata a raccogliere fondi. Delle solenni «fonzioni» religiose e anche delle dispute si è, col tempo, un po’ persa la memoria. Resta, però, il sentimento di devozione e di rispetto verso questo luogo. Un luogo che va preservato e mantenuto al patrimonio della Valle.
Testo di Arrigo Arrigoni, immagini by Gianni Gritti
